L'indiano metropolitano #9 - Quando Idv fu scambiata per la nuova sinistra
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Newsletter numero 9
E Di Pietro si mangiò la sinistra
Un ricordo di Luca Rossi
E Di Pietro si mangiò la sinistra
C’è stato un momento della storia della sinistra - uno dei peggiori si pensava allora, non immaginando cosa sarebbe venuto dopo - in cui si arrivò a considerare Italia dei Valori un partito fratello, anche se adottivo.
Accade nel 2008 e fu grazie a Walter Veltroni. La vocazione maggioritaria del neonato Pd da lui guidato fece fuori la sinistra dalla coalizione (ricordate l’Unione?) e probabilmente fu anche una separazione consensuale; ma non Italia dei Valori. Le elezioni furono in disastro per la Sinistra Arcobaleno che rimase fuori dal Parlamento, mentre Antonio Di Pietro grazie all’accordo con il Pd e al battage sul “voto utile” si ritrovò improvvisamente nel ruolo di co-protagonista nel centrosinistra.
Aveva rivinto Silvio Berlusconi, l’opposizione dei democratici era tediosamente istituzionale, mai un guizzo, mai una sana indignazione; invece l’ex pm seppe ritagliarsi lo spazio politico dell’opposizione di principio, certo facilitata dal suo personaggio bonario e assieme iracondo. Una botta di vita se messa in confronto con la melensa e moderata retorica veltroniana.
L’antiberlusconismo era un sentimento ancora diffuso nel Paese e Di Pietro se ne appropriò famelico come fa un buon mercante che fiuta nuove rotte per nuovi traffici redditizi. La scomparsa della sinistra - quella di sistema, annegata in un mix di perbenismo e collaborazionismo; e quella “antisistema”, inghiottita nel buco nero dell’estromissione parlamentare - fu una ghiotta occasione.
La garibaldina e movimentista Fiom di Maurizio Landini indiceva gli scioperi e Idv aderiva, a differenza di un imbarazzato Pd. Idv difendeva l’articolo 18, il Pd insomma. I referendum per l’acqua pubblica e contro il nucleare: Di Pietro c’era, il Pd sì ma sempre a malincuore. La navicella Idv diventò il mezzo per fare cose di sinistra, o anche il luogo per ritrovare agibilità, perlomeno a parole: un ex sindacalista e poi dirigente di Rifondazione, Maurizio Zipponi, ne diventò il factotum; Luigi de Magistris fu candidato ed eletto per l’europarlamento; e poi Sonia Alfano, Pancho Pardi, Giulio Cavalli, il Popolo viola, MicroMega…
Seppur in piccolo, di fronte a Idv si ripropose il dilemma che poi investì la sinistra in merito ai 5 Stelle. Possiamo definirli sinistra? La risposta era no, ma i fatti sembravano dire di sì, o comunque era quel che passava dal convento e inglobava un sacrosanto malcontento. Dopotutto la questione morale era storia nostra, dopotutto Tangentopoli mica ci era dispiaciuta, dopotutto Tonino diceva le cose pane al pane e vino al vino come facevano i compagni di una volta, un po’ sgrammaticati ma genuini. Ho anche un vago ricordo di un convegno organizzato dalla giovanile di Idv su Ernesto Che Guevara (esisteva una giovanile di Idv? Pare proprio di sì…) e quello ai miei occhi fu il segnale che la conquista del campo politico era cosa fatta. Alle Europee del 2009 Idv prese l’8 per cento, che poi erano i voti di Rifondazione e Comunisti italiani messi insieme solo tre anni prima.
Fu allora che si cominciarono a leggere le prime paginate sulla pagine culturali dei quotidiani dedicate al populismo. Dentro la dizione ci si può mettere un po’ di tutto, però oggi è più chiaro: stava iniziando una stagione e Di Pietro col suo trattore ne era un padre nobile. Non per suo merito, ma per demeriti altrui. Si era trovato al posto giusto nel momento giusto. Di Pietro fece il Di Pietro, fedele a se stesso.
Neanche ci accorgemmo della sua veloce parabola, conclusa con un cartello elettorale che rivisto oggi mette i brividi (Rivoluzione Civile, oltre a Idv c’erano Rifondazione e i Comunisti italiani, il tutto capitanato da un altro ex pm, Antonio Ingroia), che la sua eredità se l’era pappata tutta Beppe Grillo con il neonato M5S. Cioè una Idv portata alle estreme conseguenze, con in aggiunta i peggiori tic gruppettari, finte pratiche collettivistiche, più appeal giovanile e post-ideologico, con i suoi raduni nei pratoni dove si non doveva lasciare una bottiglia di plastica per terra oppure nelle piazze attorno al comico cacciato dalla tv.
Di abbaglio in abbaglio, tutta la sinistra classica è stata quella che ha assistito a bordo campo le partite di altri, impegnati a contendersi e conquistarsi il pubblico che una volta da lei si sentiva rappresentata.
Ripensare al 2008, al 2009, a quella Idv; rivedere il corto circuito odierno con gli espulsi dal Movimento che si riprendono il simbolo di Idv, sentirli parlare e intravedere nelle loro parole ancora piccole tracce di sinistra, ma confuse, disperse come piccoli pezzi di un puzzle che però non è mai intero, parole piene di ragioni e con sé di torti, il tutto mischiato con ampie dosi di faciloneria e cultura prepolitica; ecco, come una specie di indigestione, alla fine tutto torna su.
(per gli appassionati del tema, consiglio vivamente la lettura di questa analisi di Stefano Cappellini su “Repubblica”: https://bit.ly/3bBWXZA)
Trentacinque anni fa.
Luca Rossi, militante di Democrazia proletaria, a soli 20 anni venne ucciso per sbaglio a Milano da un proiettile sparato da un agente della Digos, stava correndo per andare a prendere un mezzo pubblico. Era il 23 febbraio 1986.
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L'ostinata ricerca di una alleanza strutturale con il M5S attorno alla figura di Conte come prospettiva a medio termine è una cosa che mi lascia basito. Un conto era tentare di proseguire esperienza di governo per non ridare vita alla destra, un altro è considerare 5stelle organici alla sinistra e Conte unico leader possibile.