L'indiano metropolitano #3 - Torna il Soccorso rosso, Marx post-covid e la poesia comunista sul Natale (1945)
Questo è un porto franco in zona rossa
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Newsletter numero 3
Brigata sanitaria: il ritorno del Soccorso rosso
Secondo Brancaccio, dopo il covid (forse) torna Marx
Il “Natal” del ‘45 nella poesia dei comunisti milanesi
Brigata sanitaria: il ritorno del Soccorso rosso a Milano
Nei giorni scorsi ha fatto molto discutere questa riflessione dei Wu Ming su Giap relativa alla fase di completa afasia, complice la pandemia, che sta vivendo il mondo dei movimenti e della sinistra radicale: «L’area è rimasta spiazzata – anche in senso letterale: esclusa dalla piazza – dalle proteste e rivolte contro i dpcm, e adesso prova a far vedere che c’è anche lei, finendo per emettere proclami confusi, contraddittori, inefficaci». Una marginalità, spiegano, dovuta anche allo schiacciamento prodotto dal termine “negazionismo”, che automaticamente squalifica una qualsiasi richiesta di approfondimento sulle questioni scientifiche, o di contestazione delle misure sin qui prese.
Una ottima risposta, un segnale di insperata vitalità, arriva da Milano. Non sul piano intellettuale o classicamente di piazza, ma di iniziativa politico-sociale: Arci, il sindacato di base Adl Cobas e la Camera del Non Lavoro infatti hanno dato vita alla Brigata Sanitaria “Soccorso rosso” (per la cronaca, leggere qui). La denominazione è ovviamente un richiamo storico e ideale a quello degli anni ‘70 di Dario Fo e Franca Rame, che offriva tutela legale ed economica ai detenuti politici della sinistra extraparlamentare; a propria volta mutuato da quello della Terza Internazionale degli anni ‘20. Di fronte all’evidente fallimento del modello di sanità pubblico-privato della Lombardia nell’affrontare il Covid-19, l’azione messa in cantiere è di tipo pratico e solidaristico: aprire un mini-centro per fare tamponi a rider, migranti, abitanti delle case popolari, pensionati sociali. Rigorosamente gratuitamente, «nella speranza di tracciare tutti quelli che per una ragione o per l’altra restano fuori dallo screening», dice uno degli animatori del progetto, Riccardo Germani. L’ispirazione, aggiunge, è venuta osservando quanto fatto dai medici cubani in Piemonte e in Lombardia durante la prima ondata.
L’apertura del tendone è prevista per il 30 novembre in piazzale Baiamonti e una cinquantina tra medici (alcuni in pensione), infemieri, studenti di Scienze infermieristiche, operatori socio sanitari, tecnici di laboratorio, soccorritori ma anche impiegati si sono offerti per dare una mano.
So che in queste ore gli organizzatori stanno attendendo i permessi da parte di Ats per poter eseguire i tamponi rapidi.
Ma al di là del fatto strettamente organizzativo, credo che la strada sia quella giusta per più motivi: dimostrare nella pratica che può esistere un modello di tutela della salute pubblica alternativo e universale; dimostrare nella pratica che la sinistra si rivolge alla categorie più deboli e indifese, nella loro interezza, senza discriminazioni, né verso gli stranieri naturalmente né verso gli italiani (come invece certa retorica di destra in questi anni fa intendere, a proposito di una inesistente discriminazione alla rovescia); togliere visibilità, spazio e consenso all’estrema destra che in alcuni quartieri di Milano e non solo da tempo si nasconde dietro a iniziative solidali con lo scopo di acquisire agibilità politica.
Manifestazioni, sit-in, flash mob, raccolte firme online per chiedere di “commissariare la Lombardia”: tutto utile, sacrosanto. Ma un tendone con dei volontari che aiutano concretamente i tagliati fuori dal sistema - gli stessi che magari contemporaneamente vengono considerati lavoratori essenziali (i ciclo-fattorini) - è il modo migliore per uscire dall’isolamento, dallo spiazzamento, citando i Wu Ming.
Il caro vecchio mutualismo, dopotutto, papà del vecchio e buon socialismo.
(Per altre informazioni, cliccare invece qui)
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“Non sarà un pranzo di gala”: post Covid-19 e destini del capitalismo
Dopo i quaranta anni della lotta di classe dall’alto verso il basso cominciata negli anni ‘80, la riscossa vincente dei ricchi contro le conquiste del mondo del lavoro avvenute dal Dopoguerra, il coronavirus rende plastica, evidente, la seconda fase: una lotta tutta interna al capitale che avvicina il sistema alla "catastrofe". E non è detto che sia una cattiva notizia. Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione di Emiliano Brancaccio (Meltemi) e a cura del giornalista Giacomo Russo Spena è un saggio illuminante scritto da un economista cosiddetto “eretico” e che fa già i conti con la crisi delle crisi che sta vivendo il sistema capitalistico, ovvero quella del Covid-19.
Non solo con quella però, perché Brancaccio ci arriva punto dopo punto, riprendendo le proprie analisi in riferimento a quella del 2008.
Premessa: Brancaccio è uno studioso marxista, da sempre critico verso la moneta unica ma con una propria coerenza che non l’ha mai fatto sconfinare né flirtare con il sovranismo (il più puro dei puri economisti no-euro, Alberto Bagnai, è passato dal contestare “da sinistra” il Pd ad essere eletto senatore della Lega). Una coerenza e anche una capacità di analisi che gli è stata riconosciuta da illustri colleghi di estrazione neoliberale o comunque moderata, e infatti il saggio ospita i suoi dialoghi con Romano Prodi, Mario Monti, Olivier Blanchard e Lorenzo Bini Smaghi. Monti il quale a un certo punto si trova concorde con Brancaccio: «È difficile immaginare una sintesi keynesiana senza il pungolo della minaccia socialista. Il sistema capitalistico ha dato il peggio di sé da quando è caduto il muro di Berlino». Sì perché ancor prima dell’uragano covid l'austerità neoliberista stava cominciando a perdere colpi, perlomeno nel dibattito tra economisti; troppi e dannosi gli effetti politici e sistemici dell'assenza di cura sociale, nella convinzione - questa sì, ideologica - che il mercato potesse sempre e comunque garantire a tutti un piccolo posto al sole. Secondo Brancaccio, la deregolamentazione dei mercati erode il tessuto sociale. E soprattutto, come ricordato da Russo Spena nella sua introduzione, «mette in crisi le istituzioni liberaldemocratiche e lentamente crea un contesto favorevole per la diffusione di una cultura politica retrograda, spesso ispirata da propositi di riabilitazione delle peggiori ideologie xenofobe, autoritarie, al limite fasciste».
E adesso? Cosa cambia con il covid-19? Qui Brancaccio fa notare che «il capitale non solo tende a crescere rispetto al reddito, come sostiene Piketty, ma tende anche, e soprattutto, a centralizzarsi in sempre meno mani. Come nell’allegoria di Bruegel, i grandi mangiano i piccoli (...) Nasce così una lotta, tutta interna alla classe capitalista, tra aggressione dei grandi e resistenza dei piccoli».
La crescita del capitale in rapporto al reddito e la centralizzazione del suo controllo «sono tendenze che, in quanto tali, annunciano una progressiva concentrazione di potere, economico e di conseguenza politico. Come gli stessi Blanchard e Piketty pur di sfuggita rilevano, una tale dinamica del capitale non sconvolge soltanto l’assetto economico ma può avere enormi ricadute sul quadro politico e istituzionale, e più in generale sul sistema dei diritti». La medicina keynesiana messa in atto in questi mesi di emergenza e fatta di sussidi a pioggia altro non è che una «reazione piccolo-borghese». E quindi, mentre cresce la potenza del capitale centralizzato, «monta al contempo la fragilità del suo monopolio politico. Più vicina è la catastrofe, più vicina è l’occasione di una svolta».
L'unica risposta possibile, la svolta, riflette infine Brancaccio, è quella collettiva della pianificazione: «Tutta la creatività del collettivo, tutta la forza fisica e intellettuale della militanza devono riunirsi intorno a questo concetto straordinariamente fecondo. E tutte le iniziative devono quindi essere riconcepite nella cornice logica del piano». Il piano, ovvero «una bandiera per l'egemonia». Con i ceti medi impoveriti le classi si uniformano, e anche questa secondo l’economista è una buona notizia. Ma appunto, serve una risposta radicale, non una proposta per salvare il capitalismo. Fin qui l’analisi, punto di partenza per il dopo. «Un’intelligenza collettiva rivoluzionaria è tutta da costruire», si chiude così il saggio di Brancaccio.
(questa recensione è stata pubblicata anche sul sito dell’Espresso)
Memorabilia #3
Il manifesto che vedete qui sotto fu regalato da Sandro Teti, l’editore, ad Andrea Mascetti, avvocato varesino con studio a Milano che comunista non è mai stato e anzi: vicino all’ideale federalista di Gianfranco Miglio, è uno degli animatori del circolo culturale Terra Insubre. Il fatto è che la poesia sul Natale datata 1945 è stata scritta in milanese stretto, da qui il regalo di Teti ad un cultore della “tradizione” e dell’indipendentismo.
Autore fu Augusto Fumagalli, il partigiano Danilo, della Federazione milanese del Pci. Me la sono fatta tradurre proprio da Mascetti, che ringrazio per l’omaggio.
In ogni “casa del Diavolo” della nostra Milano - Sono tutti presi a preparare il Bambino: brillano le cose belle sui pini e tutti festosi i più piccoli battono le mani.
“Ma quindi questi tremendi partigiani (dice la Peppa) non sono canaglie come dicono certi baciapile che abbaiano per abbaiare come fanno i cani.
“Ma quindi questi anticristo senza fede. Questi delinquenti, rossi perché gli piace il vino. Questi tremendi ‘bolscevicchi’, questi galeotti: non sono poi canaglie come si pensa. Se hanno una carezza e un buffetto per ogni povero bimbo che non ha nulla”.
*Segnalo infine, a proposito di soccorsi rossi, questa bella foto pubblicata da Antonio Bassolino su Twitter:
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Arrivederci alla prossima settimana!