L'indiano metropolitano #12 - Storia di un patriota: Guido Picelli
Questo è un porto franco in zona rossa
Rieccoci qui e grazie per la lettura!
Newsletter numero 12
Un vero patriota internazionalista: Guido Picelli
Negli ultimi anni una destra in ascesa, impegnata in una battaglia di autolegittimazione ed egemonia culturale, ha scippato ad una sinistra invece in crisi di identità - caduto il Muro, è finita una storia e con sé un orizzonte - parole e concetti, modificandone il senso, inquinandole il valore, rimasticandone e riproponendole a proprio piacimento: popolo e patriottismo, libertà, controinformazione, critica alla globalizzazione; addirittura la difesa del lavoro, declinata ovviamente in senso nazionalista, di chiusura e falsa contrapposizione con le aspirazioni dei migranti, determinati a costruire una vita migliore altrove - come gli italiani hanno fatto e continuano a fare da 150 anni.
I camerati oggi si definiscono e chiamano tra loro “patrioti”. Patria è ormai una parola che suona di destra; ma è un falso storico, una furba riappropriazione dal Risorgimento e poi dalla Resistenza, passaggi e movimenti storici che furono animati dal progresso e non dalla conservazione dell’esistente. L’anima profondamente anti-nazionale rappresentata dal fascismo, fondato sulla prepotenza e sulla violenza verso le masse popolari, asservito ad una potenza straniera, il fascismo che trucidò con piena collaborazione migliaia di propri connazionali su ordine dell’esercito tedesco, è stata riciclata e trasformata nel proprio opposto dagli eredi di quella storia: i difensori della “patria” oggi sono loro, o meglio, vorrebbero esserlo loro.
Un patriota si batte per la libertà del proprio Paese, contro le ingiustizie commesse nel proprio Paese; ma nella sua versione più alta, non essendo un nazionalista, un suprematista quindi, è tale anche in difesa della libertà delle altre patrie.
Guido Picelli da Parma, comunista e combattente, in Italia e in Spagna, fu un vero patriota. Lo fu a costo della vita.
(Ripropongo qui la recensione di un volume a cura di William Gambetta pubblicata pochi giorni fa sull’edizione bolognese di Repubblica).
Un ribelle, un agitatore sindacale e di popolo, un combattente, un dirigente politico leale al partito, un comunista: una figura mitologica dell'antifascismo specie nella sua città, Parma, ma mai abbastanza studiato (e celebrato) a livello nazionale. Nel ripercorrere la storia di Guido Picelli a 85 anni dalla sua morte e in attesa del centenario delle famose barricate del quartiere Oltretorrente contro i fascisti guidati da Italo Balbo, lo storico William Gambetta fa parlare Picelli stesso. Nel suo La mia divisa. Scritti e discorsi politici di Guido Picelli, pubblicato dalla Bfs di Pisa in collaborazione con il Centro studi movimenti di Parma e il Comitato Agosto 1922, si trovano relazioni, riflessioni, interventi in aula (Picelli fu parlamentare del Pcd'I, malmenato in aula dai fascisti assieme ai suoi compagni), lettere e discorsi che vanno dal 1919 al 1936. Non è un lavoro banale perché, scrive Gambetta nella sua introduzione, nel corso del tempo “anche la figura di Picelli è stata deformata dalle mutevoli necessità dell’uso politico, diventando una sorta di ologramma a più facce, utile sia per enfatizzare le democrazie liberali che per esaltare il socialismo reale (...) Picelli è celebrato tanto da chi idealmente si richiama al movimento comunista novecentesco, quanto da chi censura quest’ultimo quale espressione di un potere autoritario e illiberale. Se per i primi Picelli è diventato il modello dell’eroe comunista – poiché incarna la duplice immagine di capopopolo e uomo di partito – per i secondi è soprattutto la sua personalità di ribelle a ogni arbitraria imposizione a renderlo eroico”.
La verità, come sempre, è complessa e fatta di inevitabili contraddizioni. Di sicuro però va ricordato che Picelli morì in Spagna, in difesa della repubblica popolare: comandante del battaglione Garibaldi, venne ucciso dai franchisti il 5 gennaio 1937 mentre alla testa dei suoi uomini tentò l’assalto al monte San Cristóbal.
Prima aveva subito angherie e violenze, il confino a Lampedusa e a Lipari, la reclusione a Siracusa e a Milazzo, poi ci fu la fuga in Francia e dopo ancora in Unione Sovietica, dove fece l'operaio e dove passò - uscendone prosciolto - dall'accusa di “frazionismo”. Le epiche barricate di Parma degli Arditi del popolo (nella foto qui sotto) contro le camicie nere (“Parma non vuol cadere, resisterà sino a che avrà una vita. Se barricate e trincee dovranno essere nuovamente costruite, siate con noi i combattenti della causa comune”, è il suo appello di quelle settimane pubblicato sull'Ordine nuovo) saranno sempre il fiore all'occhiello di una biografia umana e politica piena di fatti e avvenimenti altrettanto fondamentali per la storia del nostro Paese, e non solo.
L'avvento stesso del fascismo è descritto da Picelli con parole vivide e drammatiche ma allo stesso tempo con la convinzione, quasi la fede, di ribaltare i rapporti di forza: “Molte camere del lavoro e molte cooperative - scrive nel maggio '22 - sono state incendiate e saccheggiate, molti sono i circoli devastati. Enorme è la cifra dei lavoratori assassinati, bastonati e costretti al bando. Sono stati stracciati patti collettivi di lavoro, aboliti uffici di collocamento, ma tutto non è perduto. Ci sono baluardi ancora non espugnati, posizioni non conquistate ed ancora forti, c’è infine la fede, l’idea, che è rimasta intatta e non si distrugge come si distrugge una casa del popolo, non si uccide come si uccide un uomo”.
Non sono solo parole perché la vita di Picelli segue un filo rosso fatto di impegno diretto alla causa. In una lettera agli operai parmensi emigrati in Francia nel 1936 recuperata da Gambetta nel proprio encomiabile lavoro d’archivio, Picelli ricorda che il suo “ardente desiderio” è quello di essere in “prima linea”: “Voi che mi conoscete sapete benissimo che il mio posto non può essere che quello”. Il riferimento è al fronte spagnolo, che sarà la sua ultima tappa di coraggioso militante: “Seguo gli avvenimenti con la passione del vecchio soldato che ha fatto della lotta la sua divisa e che gran parte della vita ha trascorso sui campi di battaglia insieme a voi in difesa della pace, del pane, della libertà”.
Arrivederci alla prossima newsletter!
Grazie per questo pezzo sul Comandante Picelli, caro Matteo. Se non la conoscessi, ti segnalo anche la storia di un altro giovane meraviglioso, il comandante Dante Castellucci, nome di battaglia "Facio"