L'indiano metropolitano #10 - Finzione e verità, una chiacchierata con Wu Ming 1
Questo è un porto franco in zona rossa
Benritrovati su questa newsletter. Causa Covid-19 - sono ampiamente guarito eh - e una certa stanchezza ho un po’ trascurato questo spazio, confido di tornare ad essere più regolare!
Neswletter numero 10
Complotti, finzione e verità, parola a Wu Ming 1
Poche settimane fa è uscito l’ultimo lavoro di Wu Ming 1, alias Roberto Bui, su QAnon. Quasi 600 pagine (qui trovate l’indice) dove alla fine il fenomeno complottista americano responsabile dell’assalto di Capitolo Hill a Washington e abitato da sanguinari pedofili e traditori dello Stato - di teorie cospirazioniste nel saggio ne vengono prese in esame parecchie - rappresenta un po’ la scusa per parlare di noi, come mondo occidentale, Europa e Italia. Del resto con gli Stati Uniti c’è una lunga storia di reciproci condizionamenti e influenze culturali. Quindi si parla anche della nostra realtà fatta di paure, sospetti, inquietudini, false ribellioni, esigenze di semplificare, catalogare, affibbiare comode etichette. Una realtà fatta, anche, di negazione della realtà stessa: ne costruiamo una alternativa, o crediamo ad un’altra immaginaria eppure confortevole.
Tutti sentimenti “naturali”, in un certo senso ancestrali, quasi sempre raccolti con successo dalla destra utilizzando schemi e pregiudizi antichissimi - l’ebreo avido e cattivo ghiotto di sangue cristiano ad esempio alla fine non manca quasi mai - motivati dalla paura dell’altro, dall’assenza di controllo sulla vita, dalla fatica che comporta accettare la complessità e conoscere ciò che è diverso da noi.
Il lavoro di Wu Ming 1, che amplia quanto già scritto per Internazionale, è pieno di rimandi storici, collegamenti fra leggende metropolitane in apparenza lontanissime tra loro, eppure tutte legate da simbologie e condizionamenti culturali comuni. Ad esempio, cosa c’entra la storiella della morte di Paul McCartney - quello che vedete oggi è un sostituto, lo sapevate no…? - con Bibbiano?
La politica fa da sfondo in tutto ed è interessante osservare come siano i momenti storici di riflusso, di assenza o afasia di movimenti politici progressisti e di un avanzamento complessivo nel campo dei diritti sociali, quelli dove la brodaglia complottista attecchisce meglio. La caccia alle streghe e lo sconfinamento nella fobia spesso entrano in gioco riempiendo vuoti di utopia e radicalità. Né il funzionamento dei social network, oggi, rappresenta un fattore neutro nell’espandersi di teorie complottiste e fanatismi.
Comunque, attorno a questo lavoro che personalmente considero non solo utile ma fondamentale per leggere l’attualità, ne è nata una intervista per l’edizione bolognese di Repubblica e che per ragioni di spazio non è uscita integralmente, quindi eccola qui di seguito.
Come si esce da una fantasia di complotto? E come si dialoga, come si trovano punti di contatto alla realtà, con chi entra nel tunnel?
«Il primissimo passo da compiere è riconoscere che ogni fantasia di complotto, anche la più sconclusionata, parte da un nucleo di verità, da un malessere e disagio reale, poi prende la tangente e quella verità iniziale viene distorta, deformata, si alimenta l’odio e si creano capri espiatori, si forniscono spiegazioni consolatorie. Rispondere con la psichiatrizzazione, con quel “fatti vedere da uno bravo” che va tanto di moda, prendere di petto l’interlocutore (vedi ad esempio il fenomeno del burionismo ma anche la moda del debunking, ndr) non solo non lo convince ma lo porta ad arroccarsi. È falso che tutti i complottisti siano fascisti o di destra, in quei tranelli cadono anche persone che hanno fatto tutt’altri percorsi».
C’è la possibilità che il Q di QAnon sia figlio, almeno come idea, ad un libro del vostro collettivo, quando si chiamava Luther Blisset. Alla fine che idea ti sei fatto? È davvero così? Come un incidente di laboratorio?
«Il rapporto di QAnon con Wu Ming è come quello di un rapinatore con il tizio a cui ruba l’auto per fare un colpo. Ma non è possibile e nemmeno desiderabile controllare come verrà utilizzata e citata una tua opera. Quando l’arte esce nel mondo non è più tua. Anche un recente documentario della HBO su QAnon ritiene plausibile che il primissimo utilizzatore della firma Q si sia ispirato al nostro romanzo, ma bisogna distinguere due momenti. Q compare per la prima volta su 4Chan nell’ottobre 2017, ma a dicembre si sposta su 8chan. Da quel momento se ne appropriano profittatori di estrema destra che lo trasformano nel fenomeno che abbiamo conosciuto. La persona che scrisse i primi messaggi è sconosciuta e forse rimarrà tale. È quella persona a essersi ispirata a Q».
Nel libro c’è molta Bologna ed Emilia-Romagna. La psicosi del satanismo, della pedofilia, dai Bambini di Satana a Bibbiano. Critichi duramente anche la stampa locale dell’epoca, compresa Repubblica. Il sensazionalismo miete sempre molte vittime anche nelle redazioni. Esiste una ricetta, un metodo giornalistico, per emanciparsene?
«Molte storture non dipendono nemmeno dalla volontà del singolo giornalista, è problematico il modo stesso in cui si è organizzato il giornalismo, il sensazionalismo è già implicito nell’idea stessa di “notizia”. Poi c’è spesso un cortocircuito nel rapporto tra inquirenti e giornalisti, è un problema strutturale. Comunque, all’epoca dei Bambini di Satana facemmo cambiare idea a due giornali bolognesi su tre, spiegando nel dettaglio che l’impianto accusatorio contro i Bambini di Satana era identico ad altre fantasie già smontate negli Usa. Oggi è ancora più difficile prendersi il tempo per approfondire, coi social che accelerano ogni processo. Però nel libro si propongono degli approcci possibili».
Dedichi il libro a Marco Dimitri, già capo dei Bambini di Satana, definisci il suo un esoterismo di “sinistra”; c’è una certa fascinazione personale verso un mondo comunque oscuro, si può dire?
«Non direi, ma mi interessa il suo potere di fascinazione su altri, mi intriga vedere che esiti e condizionamenti quei simboli e riferimenti possono avere. Ad ogni modo, quando parlo di sinistra esoterica è una metafora. Dentro l’esoterismo c’è una destra e una sinistra, le società segrete della prima età moderna si opponevano all’assolutismo e al potere clericale, si pensavano progressiste. Di contro c’è l’esoterismo alla Julius Evola, usato per perorare un ritorno all’ordine, a un mondo gerarchico e antimoderno».
Come Wu Ming avete abbandonato Twitter, nel volume anche la critica al sistema dei social è netta, praticamente senza appello: come si vive lontano dalla dopamina da notifiche?
«Se fossi stato ancora su Twitter non sarei riuscito a scrivere il libro, uscirne mi ha liberato il tempo, mi ha reso più lucido e mi ha migliorato la vita».
Alla fine, il senso di tutto il libro, è che manca la politica, il pensiero radicale e collettivo, per spiegare fenomeni complessi e immaginare un sistema alternativo, visto che le fantasie di complotto sono fantasie di evasione da una realtà che non ci piace, che ci schiaccia. All’orizzonte vedi una speranza? Gli Usa di Qanon sono anche quelli del neosocialismo di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. In Italia?
«Negli Stati Uniti anche in un anno terribile come il 2020 si sono visti movimenti dal basso come Black Lives Matter che si sono riappropriati delle strade, che hanno costruito legami sociali, senza ibernarsi, senza scegliere l’inazione. In Italia vedo qualcosa di simile in Val di Susa e nella lotta dei No Tav».